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01/05/21

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La legge più attesa, la legge più discussa

Nelle ultime settimane il dibattito pubblico italiano ha dedicato ampio spazio alla discussione sul disegno di legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo, meglio noto come ddl Zan, dal nome del deputato del Partito Democratico che lo aveva presentato nel 2018, Alessandro Zan appunto. 

 

Il provvedimento è nato per rispondere alla necessità di una legge che punisca in modo specifico violenze e discriminazioni compiute sulla base dell’orientamento sessuale, del genere, dell’identità di genere e della disabilità, ma si è ben presto trasformato nella trincea di una guerra di posizione ben più ampia, che vede oggi opposte due visioni del mondo totalmente agli antipodi. Il disegno di legge è stato approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati ormai cinque mesi fa, ma da quel momento l’iter legislativo è rallentato a causa dell’ostruzionismo della Lega – insieme a Fratelli d’Italia tra i principali oppositori del provvedimento – che ne ha di fatto rimandato la calendarizzazione fino a pochi giorni fa.


Il ddl Zan dovrà ora essere discusso in commissione Giustizia e alla netta opposizione del centrodestra si è recentemente aggiunta la frenata di Italia Viva, che ha aperto a una serie di modifiche che potrebbero far tornare il testo all’esame di Montecitorio. Una tale polarizzazione è particolarmente significativa nell’ottica degli equilibri interni alla maggioranza, dal momento che tanto i favorevoli quanto i contrari (con l’eccezione di Fratelli d’Italia) sostengono in questo momento il governo Draghi.

Insomma, il dibattito sul ddl Zan è più attuale che mai e sul tema si confrontano istanze legittime, qualche posizione ideologica e un bel po’ di disinformazione. Pane per i denti di Prisma, la prima newsletter di Torcha che in questo numero sarà interamente dedicata al disegno di legge più atteso e più discusso del momento.

Buona lettura!

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Nel caso fossi di fretta

  • L’iter del ddl Zan è attualmente fermo nella terra di mezzo tra Camera e Senato, ma da qualche giorno è arrivato il via libera alla calendarizzazione, che farà riprendere la discussione

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  • I favorevoli alla sua approvazione sottolineano la necessità di un provvedimento che tuteli categorie particolarmente esposte alla violenza e alla discriminazione

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  • Secondo i suoi fautori, la necessità del disegno di legge non è più differibile, come testimoniano i recenti casi di cronaca, ma anche report europei e sondaggi sulla percezione di pericolo condotti all’interno della comunità Lgbt+

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  • Chi si oppone all’approvazione del ddl Zan usa come motivazione la volontà di preservare la libertà d’espressione, nonostante tale preoccupazione appaia infondata alla luce della formulazione del provvedimento

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  • Alcuni esponenti politici e della società civile sottolineano come l’approvazione del ddl Zan possa trasformarsi nel primo passo verso la maternità surrogata. Il disegno di legge non presenta tuttavia riferimenti alla pratica, che resta vietata sul suolo italiano

Fedez (cantante):

«Partiamo dal principio, cos’è il ddl Zan? Il ddl Zan è un disegno di legge che attua nuove misure di prevenzione e di contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità. In sostanza dà più diritti a chi non ne ha. Il senatore Pillon nelle scorse settimane ha osteggiato l'approvazione di questa legge dando tale motivazione: questa legge non va bene perché darebbe il via libera agli uteri in affitto. Che è un bel titolo, ma dentro il ddl Zan non si parla di uteri in affitto»..

Simone Pillon

(senatore della Lega):

«Se si tratta di aumentare le pene per chi sia così scemo o pericoloso da aggredire una persona in quanto omosessuale noi siamo in prima linea, il problema è che il ddl Zan non dice questo. Il ddl Zan parifica l’autopercezione con l’identità sessuale. Soprattutto, il ddl Zan porta il gender nelle scuole dei nostri figli e sottrae ai genitori il diritto di educare i figli e noi su questo vogliamo continuare a chiamare i genitori “mamma” e “papà” e non “genitore 1” e “genitore 2”. Vogliamo continuare a sostenere che i diritti riproduttivi delle coppie gay non possono comprendere né l’utero in affitto né le adozioni perché sono violazioni del diritto dei bambini ad avere mamma e papà. Se questo è discriminazione, non vogliamo che diventi un reato, non vogliamo che diventi una legge ideologica che va a punire lo psicopensiero, come diceva Orwell».

Interviste
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La nostra intervista

Per chiarire al meglio i confini giuridici del ddl Zan abbiamo chiesto l’aiuto di Piergiorgio Pagliaro, ricercatore in diritto penale.

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Pagliaro, quali novità introduce il ddl Zan?

Piergiorgio Pagliaro
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Ddl Zan: perché sì

Il principale argomento di chi spinge per l’approvazione del ddl Zan è contenuto nella ratio stessa del provvedimento e ha a che fare con la necessità di tutelare le vittime di discriminazione più esposte a violenza e discorsi d’odio. Il testo già approvato alla Camera propone infatti di inserire l’orientamento sessuale, il genere, l’identità di genere e la disabilità nell’impianto legislativo che già oggi punisce la propaganda, l’istigazione a delinquere e la violenza per motivi di discriminazione.

 

Nel dettaglio, il ddl Zan propone la modifica degli articoli 604 bis e ter del codice penale e il decreto legge 122 del 1993, la cosiddetta legge Mancino, che nell’attuale formulazione, tutelano le vittime di discriminazione per «motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Nel caso passasse la linea proposta da Alessandro Zan, l’impianto giuridico in materia di reati e discorsi d’odio rimarrebbe sostanzialmente invariato, con la “sola” aggiunta delle nuove categorie di discriminazione. 

 

La necessità di un simile ampliamento appare ormai evidente dai casi di cronaca – soltanto nei mesi di marzo e aprile siamo stati costretti a commentare l’aggressione omofoba in una metropolitana di Roma e la storia di Malika Chalhy, 22enne di Castelfiorentino cacciata di casa perché omosessuale – ma anche dai crudi dati. Secondo l’ultimo rapporto realizzato da ILGA (l'associazione internazionale che riunisce le organizzazioni Lgbt+ di 166 Paesi nel mondo) l’Italia è al 35esimo posto tra i 49 Paesi europei e asiatici analizzati per riconoscimento dei diritti civili, presenza di leggi contro i crimini d’odio, educazione nelle scuole, tutele sanitarie e sociali. 

 

Un’arretratezza strutturale che si riflette in modo diretto sulle condizioni di vita delle persone omosessuali, bisessuali, intersessuali e transessuali, che secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali (Fra) non si sentono al sicuro nel nostro Paese. Il 30% degli intervistati evita alcuni posti per evitare di subire discriminazioni, il 62% evita di stringere la mano in pubblico al suo partner, il 32% dichiara di essere stato discriminato o molestato nell’anno precedente al sondaggio e appena il 39% dei partecipanti ha scelto di fare coming out. Tutti dati che pongono l’Italia ben al di sotto della media europea. 

 

Per quanto riguarda l’abilismo, infine, i dati raccolti dall’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri) riferiscono di 188 segnalazioni di discriminazioni basate sulla disabilità nel solo 2019 e 49 nel 2020, in linea con una tendenza che vede in calo quasi tutti i reati a causa delle misure di confinamento dovute alla pandemia di Covid-19. Sono dati comunque parziali, che si limitano alle sole denunce, come spiega l’Unar, e nascondono un sottobosco di prevaricazioni molto spesso taciute.

 

E questo ci porta anche all’altro tema battuto dai favorevoli al ddl Zan: una parte dei Paesi dell’Unione Europea possiede già una legislazione di contrasto all’odio e alla discriminazione, senza che questa abbia provocato danni alla libertà d’espressione. La Francia si è dotata di una legge in materia già nel 2002, ammettendo l’omofobia fra gli elementi identificativi per alcune infrazioni penali disciplinate dal Codice penale, come nel caso del reato di discriminazione e ha riconosciuto la circostanza aggravante per i reati o delitti commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima. La norma è stata successivamente potenziata nel 2004 e nel 2012, con la disposizione di un aggravamento delle pene. 

 

Anche il codice penale spagnolo punisce con maggior severità i reati commessi con discriminazioni basate sull’«orientamento sessuale» o sul «genere» della vittima e considera illegali le associazioni che «incoraggiano, promuovono o incitano all’odio, all’ostilità, alla discriminazione o alla violenza» contro persone o gruppi causa del loro «orientamento sessuale». Uscendo dal campo dei Paesi Ue, il Regno Unito ha introdotto alcune aggravanti per i reati d’odio con il Criminal Justice and Immigration Act del 2008, prevedendo pene maggiori qualora l’atto criminoso sia fondato sull’orientamento sessuale della persona offesa, mentre dal 2020 in Norvegia è vietata ogni forma di incitamento all’odio contro la comunità Lgbt+.

 

Paradossalmente, l’Italia non ha ancora una legge contro l’omotransfobia, nonostante sia stato uno dei primi Paesi in Europa a proporla: era il 1996 e la proposta firmata da Nichi Vendola per Rifondazione Comunista naufragò in un nulla di fatto.

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Ddl Zan: perché no

Chi si oppone al ddl Zan ne fa innanzitutto una questione di libertà d’espressione. Come si legge nella posizione pubblicata sul Foglio da 25 intellettuali di area liberale (tra cui l’ex presidente del Senato Marcello Pera e l’ex direttore generale di Confindustria Stefano Parisi), il disegno di legge limiterebbe «la libertà di espressione di coloro che hanno opinioni meditate contrarie a tali nozioni e comportamenti» e «poiché la fattispecie del nuovo reato è vaga, anziché essere ben definita, e generica, anziché essere precisamente determinata, come richiede il diritto penale, il disegno di legge finisce con l’assegnare all’arbitrio personale del giudice un potere coercitivo illimitato».

 

Il rischio sottolineato teoricamente non è di poco conto e riguarda tutti i provvedimenti che vanno a punire i discorsi d’odio: qual è il confine tra libera espressione e discriminazione? La risposta a questa domanda è in realtà contenuta all’articolo 4 dello stesso disegno di legge, che spiega: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime ri­conducibili al pluralismo delle idee o alla li­bertà delle scelte, purché non idonee a de­terminare il concreto pericolo del compi­mento di atti discriminatori o violenti». Vale la pena ricordare che l’articolo 4 rappresenta il punto d’approdo di un compromesso raggiunto in commissione alla Camera e che tale formulazione è stata inserita attraverso un emendamento presentato da Enrico Costa, deputato di Azione, ex Forza Italia.

 

L’unico limite sembra così essere quello del margine di discrezionalità assegnato al giudice, che sarà chiamato a distinguere tra una legittima opinione e un atto di discriminazione. Bisogna sottolineare, tuttavia, che questa non è una peculiarità del ddl Zan, ma una dinamica già prevista dalla legge Mancino – ad esempio nei casi di discriminazione razziale – e che ad oggi non si registrano particolari limitazioni della libertà di espressione (anche grazie alla centralità del principio costituzionale enunicato nell’articolo 21).

 

Strettamente collegato a questa critica è quella che denuncia la possibile introduzione della maternità surrogata, che il senatore Pillon ha più volte definito “utero in affitto”. Secondo l’esponente leghista – a cui ha fatto eco il segretario del Partito Comunista Marco Rizzo – una legge sull’omotransfobia darebbe il «diritto inalienabile alle coppie gay» di «avere figli attraverso questa pratica», dal momento che a quel punto negarlo equivarrebbe a una discriminazione. In realtà il ddl Zan non contiene alcun riferimento alla maternità surrogata, che tra le altre cose è una pratica oggi vietata dalla legge italiana.

 

Bisogna citare infine le ragioni di un dissenso “da sinistra” al testo del provvedimento presentato da Alessandro Zan, contenute in un appello firmato da numerose personalità che si definiscono vicine «all’area politica del centro sinistra» e «ispirate ai valori di estrazione democratica e progressista». Le persone che hanno aderito a questo elenco – in cui compaiono nomi di spicco come l’ex europarlamentare del Partito Democratico Silvia Costa e la regista Cristina Comencini – chiedono di modificare il ddl Zan, ritenendo il testo di legge «pasticciato e offensivo» dal momento che introdurrebbe il concetto dell’identità di genere. 

 

Secondo i firmatari dell’appello, tale termine sarebbe il primo passo per «cancellare la differenza sessuale» e «accreditare una indistinzione dei generi». Questo argomento è stato spesso utilizzato da Arcilesbica (che per questo motivo è stata recentemente espulsa da ILGA, l’associazione delle sigle Lgbt+ di tutto il mondo) e parte dal presupposto che l’identità di genere coincida sempre con il sesso biologico. Tale visione è in aperto contrasto con il diritto delle persone transessuali a identificarsi con un genere diverso da quello di nascita, ma anche con l’articolo uno del ddl Zan, che definisce l’orientamento di genere come «l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dal­l’aver concluso un percorso di transizione».

 

La critica contenuta nella petizione spiega che fra le conseguenze di un tale riconoscimento ci sarebbero «la propaganda di parte, nelle scuole, a favore della maternità surrogata e l’esclusione di ogni visione plurale nei modelli educativi». Il testo passato alla Camera contiene effettivamente un passaggio relativo alle scuole, ma ciò riguarda solo ed esclusivamente l’istituzione di una «Giornata nazionale contro l’o­mofobia, la lesbofobia, la bifobia e la tran­sfobia» (articolo 7 comma 1-2) e l’organizzazione di «cerimonie, in­contri e ogni altra iniziativa utile» alla celebrazione di tale giornata. Allo stato attuale, il provvedimento non prevede la possibilità di utilizzare la maternità surrogata e non contiene alcun riferimento a specifici modelli educativi.

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In conclusione

La discussione sul ddl Zan non è ancora partita in Senato, ma ha già diviso l’opinione pubblica, che si interroga oggi sui pro e sui contro di un simile provvedimento. Chi spinge per l’approvazione del disegno di legge, punta tutto sulla ratio che lo ha reso possibile, ovvero la necessità di tutelare categorie oggi particolarmente esposte a violenze e discriminazioni. 

 

In questo senso, lo Stato vuole intervenire direttamente per modificare il comportamento dei suoi cittadini, inserendo aggravanti per i crimini d’odio riferiti a omotransfobia, misoginia e abilismo. Tale necessità può essere percepita attraverso i casi di cronaca che riempiono la stretta attualità, ma è testimoniata da report e dall’auto-percezione di insicurezza delle persone coinvolte. Provvedimenti simili al ddl Zan sono già stati introdotti in Francia, Spagna, Regno Unito e Norvegia senza grossi scossoni. 

 

Chi si oppone al disegno di legge intende tutelare soprattutto la libertà d’espressione, laddove questa non sfoci in aperta discriminazione, ma anche evitare che il provvedimento apra la strada a pratiche come la materità surrogata. La lettura del testo (soprattutto dopo le modifiche apportate alla Camera) sembra al momento escludere l’esistenza di tali rischi e rimanda alcune interpretazioni ai tribunali, in modo non dissimile da quanto accaduto fino a questo momento per le fattispecie attualmente contemplate dalla legge Mancino. 

Conclusione
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