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24/04/21

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Il passaporto per il nuovo mondo

L’uscita dall’emergenza sanitaria si sta rivelando, almeno per l’Italia, più lenta e complicata del previsto, anche a causa di una campagna vaccinale che procede particolarmente a rilento. Le dosi di vaccino attualmente somministrate in Italia sono in tutto oltre 15 milioni (11 milioni di sole prime dosi) e la macchina sanitaria italiana procede ora al ritmo di 300 mila somministrazioni a settimana, nonostante il commissario straordinario per l’emergenza Francesco Figliuolo puntasse a raggiungere quota 500 mila entro metà aprile.

 

Intanto le istituzioni, nazionali e comunitarie, stanno già preparando il graduale ritorno alla normalità e nelle principali cancellerie europee è tornato d’attualità il tema dei cosiddetti “passaporti di immunità”. Si tratta di certificati utili a dimostrare l’avvenuta immunizzazione degli individui, attraverso la vaccinazione o in seguito all’infezione virale e alla successiva guarigione, e sarà utilizzato per facilitare gli spostamenti all’estero di quella fetta di popolazione che di conseguenza non rischierebbe il contagio.

 

Il confronto sul tema è partito già nel pieno della prima ondata di Covid, tra marzo e aprile 2020, ma sembra arrivato ormai alle sue battute conclusive. Strumenti di questo tipo sono infatti già stati adottati da Cina, Israele, Danimarca, Grecia e Islanda, mentre escamotage simili sono allo studio anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Anche l’Unione Europea sembra fare molto sul serio e ha presentato la proposta di un “certificato verde” per attestare di essere vaccinati, guariti dal Covid o essere risultati negativi a un tampone. Lo strumento dovrebbe essere introdotto a partire dal prossimo mese di giugno e consisterà in un certificato digitale raggiungibile tramite QR Code o in alternativa in un documento cartaceo da esibire in aeroporto.

 

L’ultimo decreto messo a punto dal presidente del Consiglio Mario Draghi ha infine introdotto un «green pass» di durata variabile – si va dai 6 mesi in caso di vaccinazione alle 48 ore dopo un tampone negativo – per agevolare lo spostamento tra regioni, all’interno del territorio italiano. Questo genere di misure però non convince proprio tutti e in queste ore si è infiammato il dibattito tra chi le reputa un pericolo per la privacy, oltre che un sistema strutturalmente classista e discriminatorio, e chi invece considera il passaporto di immunità il modo più rapido per mettersi alle spalle la pandemia. 

Come avrete capito, la diciassettesima puntata di Prisma entrerà nel vivo delle soluzioni immaginate dai governi per il post-Covid e analizzerà i pro e i contro dei certificati vaccinali, strumenti che potrebbero plasmare le nostre vite nei mesi a venire.

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Nel caso fossi di fretta

  • Il dibattito sul passaporto di immunità si è scatenato dopo l’ultimo decreto del governo Draghi, ma strumenti del genere sono già stati introdotti in diverse parti del mondo

  • I favorevoli all’adozione del passaporto spiegano che questo potrebbe facilitare la transizione verso il mondo post-Covid, permettendoci di viaggiare, ma anche di rimettere in piedi l’economia

  • C’è inoltre un dato da non sottovalutare: dove è stato adottato, lo strumento funziona, e non è la prima volte che compare nella storia dell’umanità

  • Chi si oppone al certificato vaccinale denuncia la possibilità di discriminazioni, che potrebbero colpire quella fascia di popolazione che non può vaccinarsi o chi non può permettersi di fare continuo ricorso a tamponi

  • Esiste poi una questione relativa alla privacy, dal momento che il passaporto di immunità introdurrebbe un tracciamento. Un dibattito molto simile a quello già visto per l’adozione della app Immuni, ma in quel caso non andò bene

Barbara Gallavotti (divulgatrice scientifica):

 «Questo tipo di certificazione offre una garanzia a due direzioni, diciamo: la offre al Paese che la richiede, perché in qualche modo protegge dal pericolo che chi arriva finisca con l'ammalarsi gravando sui sistemi sanitari locali, o anche che possa contribuire a diffondere nel Paese un'infezione molto pericolosa. Chi entra nel Paese invece, si protegge dal pericolo di ammalarsi in un luogo di cui non conosce bene il sistema sanitario e che potrebbe essere anche molto costoso. Nel caso del Covid però, questa garanzia è, in qualche modo, incompleta perché ancora non sappiamo fino a che punto essersi vaccinati protegga anche dal rischio di infettarsi e poter infettare gli altri, ma si può pensare che almeno riduca drasticamente questo rischio».

Gianluigi Paragone (Senatore della Repubblica):

«Fanno il passaporto vaccinale. Quindi se sei tra quelli fortunati che riescono a fare il vaccino, se hai i soldi per farti un tampone molecolare per andare a mangiare, per andare in vacanza, per andare in giro. Quindi hai un po’ di disponibilità economica, perché un tampone molecolare non se lo possono permettere tutti. E se sei un ristoratore in una fascia cittadina dove è possibile mangiare fuori. Se sei già un po’ in collina, la sera uno mangia fuori e non è sempre piacevole, perché magari tira un po’ di arietta e ti raffredda il piatto».

Interviste
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La nostra intervista

Per entrare nel dettaglio dei pregi e delle vulnerabilità del passaporto di immunità abbiamo chiesto l’opinione di Sonia Morelli, giornalista freelance e divulgatrice scientifica.

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Morelli, in che modo il passaporto di immunità cambierà le nostre vite?

Sonia Morelli
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Passaporto di immunità: perché sì

Chi difende la possibilità di adottare lo strumento del passaporto di immunità, lo fa innanzitutto sottolineando la sua principale funzione: restaurare gradualmente la normalità pre-Covid. A tal proposito vale la pena ricordare che molti Stati – anche europei – applicano oggi forme di restrizione all’ingresso e che lo spostamento tra regioni è tuttora vietato su tutto il territorio nazionale, fatte salvo comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.

 

Secondo i suoi sostenitori, insomma, il passaporto di immunità permetterebbe di abolire la maggior parte delle restrizioni attualmente in vigore (almeno per determinate categorie di persone) e di uniformare le regole valide per poter viaggiare, in Italia, in Europa e nel mondo. Attenzione però, perché non si tratta di un’esigenza meramente vacanziera, ma anche e soprattutto economica: dall’inizio del 2020 a oggi il settore turistico globale ha fatto registrare perdite complessive pari a 1.300 miliardi di dollari, una cifra 11 volte superiore a quella segnata durante la crisi economica del 2009 e che corrisponde a un calo del 74% degli arrivi di turisti nel mondo rispetto al 2019. Un dato comunque parziale, al quale andranno aggiunti i mancati ricavi di questa prima parte di 2021.

 

Il secondo argomento utilizzato da chi sostiene l’ipotesi del passaporto di immunità è che questo strumento, banalmente, funziona. La sperimentazione più avanzata è quella attualmente in corso a Israele, che ha recentemente riaperto palestre, ristoranti e luoghi di cultura ai pazienti vaccinati o guariti dal Covid (per i primi il pass varrà 6 mesi, per i secondi 3 mesi), una percentuale di persone ampiamente superiore al 50% della popolazione. Ma non solo, perché il Paese di Benjamin Netanyahu ha anche sviluppato un accordo con la Grecia – altro Paese ad essersi dotato di passaporto di immunità – per aprire le reciproche frontiere e facilitare il turismo tra i due Stati. Un esempio virtuoso, almeno sotto questo punto di vista, a cui l’Unione Europea guarda con interesse. 

 

Ma se Israele è stato uno dei primi esempi di passaporto di immunità nell’era Covid, lo strumento ha una storia molto lunga e di successo. Il primo espediente di questo tipo risale addirittura al XVI secolo, quando le cosiddette “fedi di sanità” o “bollette di sanità” erano documenti necessari per certificare l’immunità da malattie contagiose o l’assenza di peste nei porti navali. A partire dal 1941, inoltre, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) rilascia un “Certificato internazionale di vaccinazione o profilassi”, utilizzato ancora oggi per testimoniare l’avvenuta vaccinazione contro la febbre gialla, richiesta in diversi Paesi europei.

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Passaporto di immunità: perché no

Certo, il passaporto di immunità potrebbe accelerare il ritorno alla normalità, ma a quale prezzo? Chi si oppone all’utilizzo di un certificato vaccinale ne fa prima di tutto una questione di equità, dal momento che non tutti possono accedere alla vaccinazione o permettersi di effettuare un tampone molecolare con facilità.

 

Ricordiamo infatti che attualmente non esiste alcun vaccino per ragazzi fino a 16 anni – che sono dunque esentati dalla vaccinazione – e che alcune categorie, quelle che presentano condizioni di salute particolarmente specifiche o problematiche, non possono per sicurezza accedere all’immunità indotta dal vaccino. Ciò aprirebbe numerosi scenari di discriminazione, dal momento che rischierebbe di togliere alcuni diritti a persone fragili o a minori di 16 anni – non vaccinabili, ma comunque teoricamente veicolo di contagio – come la possibilità di accedere al ristorante (nel caso israeliano) o di viaggiare (restando invece al nuovo provvedimento emanato dal governo italiano). 

 

L’ultimo decreto del governo Draghi dovrebbe inoltre contemplare la possibilità di muoversi tra regioni entro 48 ore da un tampone con esito negativo. L’iniziativa ha suscitato numerose critiche, la maggior parte delle quali volte a denunciare il costo di una simile operazione per il cittadino, dal momento che il costo medio di un tampone si aggira sui 59 euro (il meno affidabile test antigenico varia invece tra i 22 e i 50 euro). Un aggravio importante se moltiplicato per un’intera famiglia che intende viaggiare, ma che diventerebbe ancora più insostenibile se lo stesso principio fosse esteso alla possibilità di andare al cinema o al ristorante. 

 

Come ha sottolineato il virologo Roberto Burioni, inoltre, il tampone negativo nelle 48 ore avrebbe poco senso, dal momento che quel lasso di tempo è troppo vasto per poter evitare future possibilità di contagio. A sostegno della sua opinione, Burioni ha citato uno studio del Journal of Clinical Microbiology che descrive come in un campione di 122 marinai imbarcati dopo test molecolare negativo abbiano prodotto un focolaio di Covid in grado colpire l’85% dell’equipaggio. 

 

Un’altra preoccupazione di chi rifiuta l’idea di un passaporto di immunità riguarda invece la privacy. L’orientamento prevalente dei governi europei sembra oggi essere quello di associare il futuro pass a piattaforme e applicazioni digitali, così da rendere più rapida e immediata la verifica del certificato vaccinale alle frontiere e negli aeroporti. Proprio questo particolare fa storcere il naso a molti, tra cui la prestigiosa rivista Nature, che in un’analisi pubblicata da due ricercatrici della Harvard Medical School mette in guardia dalla pericolosità di uno strumento di tracciamento associato a dati medici.

 

«Lo scopo dei passaporti di immunità è quello di controllare i movimenti» spiega Nature, «Pertanto, qualsiasi strategia per la certificazione di immunità deve includere un sistema di identificazione e monitoraggio». Si tratta in definitiva di un dibattito molto simile a quello già visto l’estate scorsa con l’entrata in scena dell’app Immuni, preoccupazioni genuine che sono state prontamente spente sul nascere dal Garante della Privacy, ma che hanno probabilmente compromesso il successo stesso dello strumento di tracciamento.

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In conclusione

Il dibattito sulla possibilità di introdurre strumenti per certificare l’immunità dal virus Sars-Cov-2 è entrata questa settimana nel vivo, grazie anche a un provvedimento del governo Draghi che apre all’uso di «un pass» per lo spostamento tra regioni. Come sempre, la discussione vede contrapposte esigenze rispettabili e da non sottovalutare.

 

I favorevoli spingono sull’idea che il passaporto di immunità possa accelerare i tempi di un ritorno alla normalità, permettendo a molte persone di viaggiare, andare in palestra o cenare fuori, e di conseguenza migliorare la situazione di diversi settori economici molto colpiti dalla crisi. Chi si oppone allo strumento ne fa essenzialmente una questione di equità – dal momento che alcune persone non possono vaccinarsi e che il ricorso al tampone sarebbe oltremodo costoso – e di privacy.

 

L’orientamento delle cancellerie europee sembra essere oggi quello di sviluppare strumenti che facilitino la transizione verso il mondo post-Covid, ma tutte le preoccupazioni devono essere attentamente valutate. Innanzitutto per evitare discriminazioni (e non sarà semplice, soprattutto per ciò che riguarda gli under 16, non vaccinabili ma comunque veicolo di contagio) ma anche per non rischiare di compromettere l’efficacia di uno strumento che potrebbe rivelarsi indispensabile, come già accaduto con l’app di tracciamento Immuni.

Conclusione
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L’Italia dovrebbe adottare lo strumento del passaporto di immunità?

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