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02/01/21

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Il rompicapo del “MES Sanitario”

La leva che risolleverà le economie di un’Europa flagellata dal Coronavirus o uno strumento voluto dall’establishment per imporre l’austerity? Una linea di credito necessaria alla ristrutturazione di un sistema sanitario provato dall’emergenza oppure l’inizio di un percorso che ci porterà a “finire come la Grecia”? Da ormai diversi mesi il dibattito politico italiano è incentrato sul cosiddetto MES, un acronimo di appena tre lettere che significa “Meccanismo Europeo di Stabilità”, ma che col tempo si è trasformato nell’oggetto del contendere di due visioni opposte dell’Europa.

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Secondo un’indagine di Demopolis, a dicembre 2019 due italiani su tre non sapevano cosa fosse il MES, mentre il 25 per cento del campione aveva sviluppato una conoscenza solo generica del tema. Ma di certo la maggior parte di voi ne avrà sentito parlare durante questo 2020 di crisi, in cui il termine “MES Sanitario” è diventato uno dei punti nodali dei dibattiti politici. La prima cosa da dire sul tema è che quando parliamo di MES ci riferiamo a due realtà ben distinte, sebbene relative alla stessa organizzazione: la prima coinvolge una riforma che intende modificare parzialmente il funzionamento del Meccanismo Europeo di Stabilità, la seconda è invece incentrata sul cosiddetto Pandemic crisis support, un piano voluto dalla Commissione Europea per attenuare gli effetti della pandemia attraverso l’erogazione di prestiti da investire nella sanità. In questa prima puntata di Prisma analizzeremo nel dettaglio solo questo secondo argomento di dibattito, cioè il cosiddetto MES “sanitario”

Il Meccanismo Europeo di Stabilità è insomma un argomento politicamente molto divisivo e forse anche per questo particolarmente inaccessibile per quella fetta di opinione pubblica che si sta avvicinando per la prima volta al tema. Quale miglior modo, dunque, per inaugurare Prisma, la newsletter di Torcha nata per mettere a confronto due visioni del mondo e analizzarle in tutte le loro sfaccettature.

 

Benvenuti e buona lettura!

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Di cosa stiamo parlando

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (noto anche come Fondo salva-stati) è un'organizzazione intergovernativa permanente istituita nel 2012 per fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’Eurozona in difficoltà. Questo può accadere per svariate ragioni – che spaziano da una crisi di liquidità alla difficoltà nel reperire soldi sui mercati, fino al caso limite di un rischio di insolvenza nei confronti del debito pubblico – e il compito del MES è fondamentalmente quello di garantire stabilità all’area composta da tutti quei Paesi che hanno adottato l’euro come moneta, quello di prestare i soldi quando nessun altro vuol farlo o lo farebbe a costo insostenibili. Quest’organizzazione ha a sua disposizione molteplici strumenti per venire incontro agli Stati membri, ognuno dei quali può però essere concesso sotto precise condizioni.

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Il caso più citato di un Paese che ha fatto ricorso agli strumenti offerti dal MES è quello della Grecia, che nel 2015 sottoscrisse un Memorandum d’Intesa con la Commissione Europea per un prestito di 86 miliardi di euro. Con quel memorandum la Grecia si impegnò ufficialmente a mettere in campo una dura serie di riforme – troppo dure, secondo la relazione indipendente redatta dall’ex Commissario agli Affari Economici Joaquin Almunia – finalizzate al risanamento dell’economia nazionale. 

Il caso greco è tutt’oggi utilizzato da una parte della politica come esempio negativo di politiche dell’austerity applicate all’interno dei confini europei, ma in questi giorni è in discussione una riforma del MES che mira a modificare alcune delle sue problematicità. Tra queste c’è proprio il meccanismo del Memorandum d’Intesa, il protocollo che subordina la concessione di una linea di credito a precise condizionalità, che la riforma vorrebbe sostituire con una meno impegnativa “lettera di intenti”. Il nuovo assetto del Meccanismo Europeo di Stabilità sarà deciso nei prossimi mesi dai parlamenti nazionali e, per essere approvata, la riforma dovrà essere votata all’unanimità da tutti gli Stati membri.

Oltre ai classici strumenti fin qui elencati, lo scorso 8 maggio la Commissione Europea ha dotato il MES di un’ulteriore arma: si tratta del Pandemic Crisis Support, ovvero la possibilità di emettere un prestito per un valore massimo pari fino al 2% del Pil di un Paese, che potrà farne richiesta per spese sanitarie. È il cosiddetto MES sanitario, che per l’Italia varrebbe circa 36 miliardi di euro, ma che ha immediatamente diviso la politica nostrana tra chi vorrebbe farne uso e chi invece lo considera una trappola.

L’intervento dell’onorevole Giorgia Meloni alla Camera dei Deputati riassume alla perfezione le obiezioni di chi si oppone all’utilizzo del Pandemic crisis support. Meloni definisce il MES sanitario una «fregatura rifiutata da tutti gli Stati Europei» perché reso inutile dal Recovery Fund (il piano dell’Unione Europea che distribuirà circa 750 miliardi di euro tra finanziamenti a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato), che potrebbe condurre al «commissariamento dell’Italia, con annessa cura greca». Giorgia Meloni sottolinea in particolare la presenza di condizionalità nel nuovo strumento – ovvero delle famose “richieste” che la Commissione europea pone come condizione necessaria ad aprire la linea di credito – perché «curiosamente su questo il trattato non viene modificato».

Uno tra i maggiori sostenitori del MES sanitario è invece il ministro dell’economia Roberto Gualtieri, che tra le altre cose si è occupato di negoziare questa linea di credito in sede europea. Contrariamente a quanto sostenuto da Meloni, secondo Gualtieri «il MES ha condizionalità addirittura inferiori a quelle del Recovery Fund» e converrebbe perché è un «prestito a tasso zero e dunque a un tasso inferiore rispetto a quello applicato dai mercati, con la sola condizionalità di usarlo per spese sanitarie».

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Le nostre interviste

Il dibattito sul MES non è naturalmente monopolio della politica, perché l’utilizzo o il mancato utilizzo di questo strumento produrrebbe conseguenze a livello economico. Per questo motivo abbiamo interpellato Carlo Stagnaro (direttore dell'Osservatorio sull'economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni) e Nicola Melloni (visiting professor presso la Munk School of Global Affairs dell'Università di Toronto), che da punti di vista opposti ci spiegheranno perché vale la pena utilizzare il MES e perché invece il ricorso allo strumento andrebbe evitato.

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Stagnaro, perché l’Italia dovrebbe ricorrere alle risorse messe a disposizione dal MES?

Carlo Stagnaro
00:00 / 04:45

Melloni, perché utilizzare il MES potrebbe non essere la mossa giusta in questo momento?

Nicola Melloni
00:00 / 03:17

MES: perché si?

Innanzitutto, stiamo parlando di un prestito che per l’Italia ammonterebbe fino a un massimo di 36 miliardi di euro, tutti da utilizzare per spese sanitarie. Per dare qualche ordine di misura, nel 2018 la spesa sanitaria italiana è stata di circa 123 miliardi (l’8,8 per cento del Pil, 2.326 euro a persona) mentre dei 209 miliardi previsti dal Recovery Fund, il nostro Paese ha deciso di utilizzarne appena 16 per la sanità. Come ha spiegato il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri nel corso di un’intervista rilasciata al Foglio, la liquidità del MES si tradurrebbe in un risparmio sugli interessi di circa 5 miliardi di euro in 10 anni, ma questa cifra è sensibile a variazioni dovute all’oscillazione dei tassi d’interesse.

 

Uno degli argomenti preferiti dai sostenitori del MES riguarda l’affidabilità dello strumento finanziario (Fitch gli ha dato una tripla A, cioè il voto massimo), che rappresenterebbe una garanzia per raccogliere ulteriori soldi sui mercati a tassi favorevoli. Fare ricorso al MES, insomma, innescherebbe un meccanismo virtuoso che potrebbe portare a ulteriori risparmi sul lungo termine.  

 

Si tratta dunque di un risparmio che potrebbe portare ad altro risparmio, ma come la mettiamo con le famigerate condizionalità? Sebbene queste siano presenti sia nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che in quello istitutivo del MES – trattati ancora oggi in vigore e non modificati, come sottolinea Giorgia Meloni – chi sostiene il MES pensa che queste non sarebbero applicate nel caso di richiesta del Pandemic crisis support. Sebbene tale convinzione non sia giustificata dal riferimento ai trattati, potrebbe esserlo nei fatti, dal momento che rassicurazioni in tal senso sono arrivate dall’Eurogruppo, dal MES e dalla Commissione europea tramite una lettera firmata dal vice-presidente Valdis Dombrovskis e dal Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni. 

 

Per rafforzare quello che appariva come un semplice impegno scritto privo di valore legale, nello scorso mese di giugno la Commissione Europea ha approvato un regolamento delegato in cui specifica che una eventuale sorveglianza rafforzata per i Paesi richiedenti riguarderebbe solo l’utilizzo dei fondi messi a disposizione dal MES sanitario e non (come in condizioni normali) tutti gli indicatori e dati macroeconomici, in linea quindi con le dichiarazioni del Ministro Gualtieri. Si tratta, vale la pena sottolinearlo, di una fonte di diritto subordinata ai trattati di cui abbiamo parlato fino ad ora e per questo potenzialmente “più debole”.

 

Come spiega l’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica, non sarebbe la prima volta che il MES attiva una linea di credito senza porre condizioni: era già accaduto nel 2012, con la Spagna, e quel caso varrebbe oggi come precedente nell’ipotesi di ricorso alla Corte di Giustizia. 

MES: perché no?

Uno degli argomenti comunemente utilizzati contro il ricorso al MES sanitario è proprio quello che riguarda le condizionalità. Secondo i suoi detrattori, senza una reale modifica dei trattati il Pandemic crisis support potrebbe trasformarsi in una trappola, che la Commissione Europea potrebbe sfruttare per controllare da vicino i nostri conti pubblici. Il rischio, sottolineato soprattutto dalle destre italiane ma non solo, è quello di una perdita parziale di sovranità.

 

Questo sospetto è amplificato da un dato: i governi di Spagna, Portogallo, Grecia e Francia hanno per il momento fatto intendere di voler escludere un ricorso al MES sanitario. «Se prendere soldi (prestati) del MES è così utile e vantaggioso, perché le nazioni più esposte insieme all'Italia come Grecia, Portogallo, Spagna e Francia dicono no al MES?» si chiedeva Giorgia Meloni il 17 maggio scorso su Twitter, interpretando un pensiero piuttosto comune alla sua area politica di riferimento.

 

Le tiepide reazioni degli Stati membri di fronte al nuovo strumento del MES potrebbero però avere una ragione più profonda, spesso citata tra i motivi per non farvi ricorso: la reazione dei mercati. Secondo alcuni accademici (tra i quali Nicola Melloni, ospite di questo numero di Prisma) l’idea di utilizzare il MES potrebbe essere interpretata come un segnale negativo dai mercati finanziari, che vedrebbero l’Italia come un Paese in difficoltà. Una dinamica che nel medio termine potrebbe portare ad un aumento dello spread e di conseguenza a interessi più alti sul debito pubblico.

 

L’ultima preoccupazione di chi si oppone al MES sanitario riguarda le condizioni in cui questo è stato pensato, che sembrano non fotografare più la realtà attuale. Da maggio (quando lo strumento è stato approvato) a oggi, la Commissione Europea ha infatti raggiunto un accordo su Next Generation Eu – il cosiddetto Recovery Fund – che mette sul piatto una linea di credito molto più ghiotta (127 miliardi di prestiti, per la sola Italia) e 81,4 miliardi di sussidi. È migliorato inoltre il rendimento dei titoli di Stato italiani e ciò si traduce in un minor costo per finanziarsi sui mercati. I tassi di interesse offerti dal MES sono naturalmente inferiori, ma qualcuno inizia a chiedersi se a questo punto il gioco valga la candela. 

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In conclusione

Sul cosiddetto MES sanitario si affrontano due idee di Europa per certi versi opposte: da una parte c’è la frangia più scettica – per motivi ideologici o in seguito all’austerity affrontata dalla Grecia dopo la crisi del 2008 a – dall’altra quella più entusiasta, che non teme di affidarsi al nuovo strumento in dotazione al MES come un'opportunità da non perdere per rilanciare la sanita’ italiana, che ne ha chiaramente bisogno.

 

Sotto questo punto di vista, il dibattito sul MES sanitario è certamente molto politicizzato e in ultima analisi tutto si riduce a una scelta – credere o non credere alle buone intenzioni della Commissione Europea – su cui abbiamo davvero pochi dati. Più interessante è invece il dibattito economico, perché il ricorso o il mancato ricorso al MES si traduce in conseguenze reali, non sempre totalmente prevedibili, ma che hanno a che fare con il futuro dei conti italiani.

Prisma torna la prossima settimana, vi aspettiamo!

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